mercoledì 25 luglio 2012

CISGIORDANIA

Il "regalo" di Israele: 45 milioni all'ANP

Dopo la richiesta di prestito all'FMI, Netanyahu trasferisce in anticipo le tasse per evitare la crisi finanziaria di Ramallah e il rafforzamento di Hamas.

Emma Mancini
mercoledì 25 luglio 2012 08:57

L'economia palestinese si fonda quasi esclusivamente sugli aiuti finanziari esteri
L'economia palestinese si fonda quasi esclusivamente sugli aiuti finanziari esteri
di Emma Mancini

Roma, 25 luglio 2012, Nena News - Un "regalo" di inizio Ramadan. Così la stampa ha definito ieri la decisione del governo israeliano di trasferire quasi 45 milioni di dollari nelle casse dell'Autorità Palestinese, come anticipo delle tasse.

Da metà anni Novanta, a seguito degli Accordi di Parigi, è Israele a raccogliere le tasse pagate dalla popolazione palestinese, un ammontare che poi è tenuto a girare al governo di Ramallah. Un'arma a doppio taglio: se in molti casi Tel Aviv ha utilizzato tale potere per fare pressioni politiche e diplomatiche sull'ANP e su Fatah - congelando ripetutamente il trasferimento - altre volte lo utilizza per salvare dal baratro del fallimento finanziario la controparte.

Prima l'FMI, poi l'anticipo.

A decidere il trasferimento anticipato delle tasse nei primi giorni del mese sacro musulmano, sono stati il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro delle Finanze Yuval Steinitz, nell'obiettivo di alleviare l'ennesima crisi finanziaria dell'Autorità Palestinese. Israele ci aveva già provato due settimane fa. All'inizio di luglio il ministro del Lavoro dell'ANP, Ahmad Majdalani, aveva lanciato l'allarme: senza aiuti dai Paesi arabi, il governo di Salam Fayyad non sarebbe stato in grado di pagare gli stipendi degli oltre 150mila dipendenti pubblici.

Israele, per l'occasione, si era mascherato da buon samaritano, chiedendo immediatamente al Fondo Monetario Internazionale un prestito di un miliardo di dollari ai Territori Palestinesi. Venti giorni fa, l'FMI aveva risposto picche: la Palestina non è un'entità statale, niente prestito.

E allora per evitare il definitivo collasso economico e politico di Ramallah, Israele ha deciso il trasferimento anticipato delle tasse: 180 milioni di shekel (44,7 milioni di dollari) per tappare l'emergenza e scongiurare la fine dell'Autorità Palestinese, considerata da Paesi occidentali e Israele l'unico interlocutore credibile nel processo di pace. In altri termini, l'ennesima iniezione di "droga" al popolo palestinese, su cui piove il denaro dei finanziatori esteri, spesso atto a far dimenticare le restrittive e discriminatorie politiche israeliane.

Ma non solo: per sostenere la debole economia palestinese, il governo israeliano ha anche deciso di incrementare il numero di permessi di lavoro all'interno di Israele, drasticamente diminuiti con la costruzione del Muro di Separazione: 5mila permessi per l'edilizia in più a favore dei lavoratori palestinesi, una quota ottenuta con il calo del numero dei lavoratori immigrati, dopo la caccia alle streghe di giugno che ha spinto molti stranieri a lasciare il Paese.

La crisi dell'AP favorisce Hamas.

Altra ragione per cui Israele ha bisogno di mantenere in vita il governo di Ramallah è l'eccessivo potere che guadagnerebbe Hamas nel caso di collasso dell'AP. A paventare la minaccia, i servizi di sicurezza dell'Autorità Palestinese secondo i quali una crisi finanziaria in Cisgiordania indebolirebbe Fatah a tutto vantaggio della fazione rivale, Hamas, che dal 2007 governa nella Striscia di Gaza.

Della stessa opinione il partito islamista: "La crisi finanziaria dell'AP ha indebolito le forze di sicurezza di Fatah e ha sicuramente rafforzato Hamas in Cisgiordania", aveva detto uno dei leader di Hamas, Yazeed Khader, alla stampa. La conferma arriverebbe dagli ultimi sondaggi elettorali: se tre mesi fa, Abbas era stabile al 54% (contro il 42% del leader di Hamas, Haniyeh), oggi il presidente dell'AP è calato al 49% contro il 44% del rivale.

A giugno Ramallah è stata in grado di pagare soltanto il 60% dei salari dei dipendenti pubblici e il timore è quello di non poter erogare gli stipendi di luglio, provocando così la rabbia della popolazione palestinese alle prese con il costoso mese del Ramadan. Di ieri è la notizia della decisione dell'ANP di sospendere il pagamento dei risarcimenti agli ex prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, proprio a causa della mancanza di liquidi.

Le ragioni della crisi: occupazione militare e dipendenza dall'estero.

A determinare una crisi tanto profonda è la natura stessa dell'economia palestinese, legata a doppio filo a quella israeliana e dipendente dagli aiuti dei finanziatori esteri. A causa delle severe restrizioni israeliane e del mancato controllo delle risorse naturali e delle vie di comunicazione - sotto la totale gestione delle autorità occupanti - la Palestina non è attualmente in grado di sviluppare una propria economia indipendente e sostenibile.

Il piano del premier palestinese Fayyad - avviare lo sviluppo dell'economia e delle istituzioni palestinesi così da fare del Paese una realtà statale a tutti gli effetti agli occhi della comunità internazionale - non è andato in porto. Nell'idea del primo ministro, il riconoscimento dello Stato palestinese poteva partire dal basso e non dall'alto e la realtà dei fatti fare pressione sulle diplomazie mondiali. Attraverso la creazione di uno Stato in grado di gestire se stesso.

Ma, dopo un periodo di relativo successo, nel 2007, quando i tassi dell'economia reale crescevano costantemente, lo sviluppo immaginato da Fayyad è apparso insostenibile perché frutto quasi esclusivamente degli aiuti finanziari dei donatori esteri. Uno sviluppo falsato, basato su fondi stranieri e non sulla produttività interna, strozzata da un'occupazione militare lunga 45 anni. Nena News

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