mercoledì 15 agosto 2012

ASCANIO CELESTINI A S.VITO DEI NORMANNI(BR) ORGANIZZATO DA Brindisi per Gaza e dalla libreria Icaro

di seguito una intervista rilasciata ad un giornalista di S. Vito

 
Monti? “Più pericoloso di Berlusconi: è considerato l’unico che puo’ e sa come guarire la malattia dell’Italia, mentre i romani hanno 50 ricette diverse per cucinare la carbonara”; i sindacati? “Esistono solo quando firmano i contratti”: firmato Ascanio Celestini. L’autore, regista e attore romano è in questi giorni in giro per l’Italia per presentare la sua nuova creatura “Discorsi alla nazione: studio per spettacolo presidenziale” in cui mette in scena il senso di smarrimento identitario della politica ma anche del popolo che sembra ormai incapace di reagire. Una serie di aspiranti tiranni, sullo sfondo di una guerra civile in atto dove tutti hanno paura di esprimersi, si rivolge ai cittadini senza alcun tipo di filtro o barriera chiamandoli “servi” ed esprimendo in tal modo il profondo disprezzo che provano nei confronti di chi vorrebbero governare. Lo abbiamo incontrato in occasione della tappa di sabato scorso a San Vito dei Normanni organizzata dalla libreria “Icaro”. Dopo le prime battute improntate sul canonino “lei”, l’invito al “damose der tu” è stato colto al volo
La tua è una visione assolutamente pessimistica della politica. Come è maturata?
A me interessa raccontare delle storie, che siano interessanti. Non c’è in maniera diretta un giudizio nei confronti della politica, dei partiti o dei sindacati. Rilevo soltanto che nel loro modo di porsi hanno un atteggiamento paternalista: ed è il primo passo verso il vero e proprio regime. Tanto è vero che durante questa prima fase dello spettacolo abbiamo inserito delle voci di dittatori veri e propri  Ceaucescu, Mussolini ecc e poi siamo passati a personaggi differenti come Bush, Giovanni XXIII, Marchionne: persone che per il ruolo che ricoprono si pongono al di sopra di altre.
Hai dichiarato che quantomeno i leader democristiani e i burocrati comunisti cercavano di mascherare il fetore del potere, a dissimulare il loro disprezzo nei confronti del popolo. Si può dunque dire che, pur nei loro evidenti limiti, i politici di un tempo fossero migliori di quelli di oggi?
Non penso che la classe dirigente del passato fosse migliore di questa, vi era semplicemente una maniera diversa di fare politica. Si è via via sempre più personalizzata al punto che abbiamo dei partiti che portano il nome dei loro rappresentanti. Il primo in Italia è stato Pannella e a ruota tutti gli altri (Berlusconi, Vendola, Di Pietro ecc.), più o meno, se lo sono cuciti addosso. Il loro problema principale non è tanto cosa dire ma come dirlo e attraverso quali mezzi. Prima il politico stava molto più in piazza; in televisione passava quasi accidentalmente quando partecipava a delle tribune elettorali; mentre oggi sentiamo riportate delle dichiarazioni di alcuni politici che poco prima sono stati a Uno Mattina, un programma per casalinghe. Non hanno più bisogno di essere tanti ma che siano tanti i megafoni che riproducano ciò che dicono. E quindi serve anche un linguaggio più incisivo. Si preoccupano meno di rilasciare delle dichiarazioni infami perché abbiamo un atteggiamento nei confronti della televisione, del giornale o della rete completamente diverso da quello che avremmo se li sentissimo parlare direttamente in una piazza. I media creano un diaframma per cui tutto quello che passa in qualche maniera appare come se fosse finzione anche se in realtà non lo è.
Viviamo in un epoca molto difficile dal punto di vista economico, politico e sociale. Allo stesso modo bisogna però cercare di percorrere una via d’uscita: si intravede all’orizzonte o è ancora lontana?

Un momento dello spettacolo a San Vito
Io non credo che ci sia una via d’uscita, non è una partita in cui alla fine uno vince,  l’altro perde o si pareggia. La crisi è assolutamente organica al sistema culturale ed economico di cui facciamo parte. Credo che il dato rilevante della politica degli ultimi anni siano le tante lotte territoriali, quella dei No Tav, ad esempio, ha la storia più lunga. È un modo di fare politica prima di tutto senza delega, per cui bisogna essere tanti, bisogna essere tutti. Hanno due caratteristiche principali. La prima è che non partono mai da un presupposto ideologico. Non nascono all’interno della sinistra, ma sono riflessioni che scaturiscono da problemi assolutamente concreti (una discarica, un rigassificatore, un inceneritore). La seconda caratteristica è che apparentemente queste esperienze hanno vita breve, anche se le persone che vi partecipano diventano dei portatori sani di quello che hanno vissuto. L’altro giorno, ad esempio, ero a Taranto per una data dello spettacolo, ed è interessante che sia nato un coordinamento di cittadini che ogni mercoledì  si incontra al quartiere Tamburi iniziando a fare un lavoro sul territorio, spiegando ai sindacati e ai partiti che l’Ilva non è solo una questione politica ma territoriale che riguarda la città di Taranto e che, pertanto, deve essere affrontata dai cittadini.
A proposito dell’Ilva, c’è voluta la magistratura per scoperchiare il vaso di Pandora facendo venire alla luce ciò che tutti da 50 anni sapevano benissimo. Eppure i magistrati si sono trovati accerchiati da partiti di destra-sinistra e centro, sindacati e forze economiche che hanno fatto fronte comune come non mai a difesa del siderurgico. Nessuno che abbia alzato la voce, ad eccezione degli ambientalisti, per difendere il preminente diritto alla salute. Come se lo spiega?
Questo dal mio punto di vista denuncia tutta la debolezza della politica, dei partiti e dei sindacati. Una volta parlando con un lavoratore di un grande call center romano, con all’epoca 5000 dipendenti, gli chiesi “Qui la maggior parte dei lavoratori non sono assunti a tempo indeterminato, hanno dei contratti a  volte grotteschi, se non proprio irregolari. Perché i sindacati, e la Cgil in particolare, pur non avendo quasi nessuna presenza all’interno dell’azienda firma degli accordi che persino l’ispettorato del lavoro aveva definito quantomeno dubbi?” Mi rispose “Perché il sindacato esiste solo quando firma”. Questa è la loro grande debolezza mentre dovrebbero dire: ascoltiamo cosa vogliono davvero i lavoratori , coloro che non accettano, ad esempio, il ricatto o il lavoro o la salute. La maggior parte di coloro che si tesserano (oggi sempre meno) lo fanno per avere un ritorno da parte del sindacato (una vertenza, ad esempio). Nessuno ci crede più davvero, come avviene, d’altronde, con i tesserati dei partiti.
A proposito di maschere del potere il passaggio di consegne da Berlusconi a Monti ha rappresentato uno shock non solo politico ma anche comunicativo. Se il primo è un personaggio indubbiamente teatrale, istrionico, Monti appare invece più complesso, più enigmatico. Se lo dovesse portare in scena, come lo rappresenterebbe?
In realtà non mi interessa molto portare in scena né Monti né Berlusconi. Entrambi a loro modo, anche se appaiono come maschere così diverse, rappresentano la stessissima idea del potere. Da una parte c’è Berlusconi che si pone al di là di qualsiasi legge e privilegio. Monti si pone, invece, come l’unico che può essere in grado di guarire questa malattia che è stata provocata negli anni: il grande medico. La cosa terribile di Monti, che lo rende anche più pericoloso rispetto a Berlusconi, è che lui ed i suoi tecnici vengano considerati i migliori possibili per guarire la malattia che ha colpito l’Italia. Se chiedi ai romani come si fa la carbonara ti danno 50 ricette diverse. Allora mi chiedo: ci sono 50 modi per fare la carbonara ed un solo modo per governare un Paese?

La novità forse più interessante della scena politica italiana degli ultimi mesi è rappresentata dal fenomeno del “grillismo”: populismo mascherato o indicatore di una insofferenza ormai insopportabile e di una contestuale volontà, da parte dei cittadini, di riappropriarsi di una voce che è stata costantemente soffocata dall’indifferenza della classe dirigente (il referendum sull’acqua pubblica, tanto per fare un esempio)
Penso che le vere battaglie, oggi, debbano essere fatte a livello territoriale per cui capisco quando Grillo va in Val di Susa, non lo capisco quando dice che il suo partito si candiderà in liste nazionali alle prossime elezioni politiche. Da una parte bisogna cercare di mantenere i diritti conquistati nel secolo scorso attraverso lotte che sono andate avanti per 60 anni; dall’altra iniziare a ragionare in maniera diversa rispetto al ’900 abbandonando l’idea della democrazia fondata sulla rappresentanza perché di fatto ormai non è più rappresentanza ma rappresentazione e andare verso l’idea della democrazia diretta, della politica territoriale. La cosa che temo del movimento 5 Stelle è che diventi un partito. Potrebbe essere migliore degli altri, ma inevitabilmente non sarebbe molto diverso perché acquisirebbe comunque il loro linguaggio finendo nello stesso calderone.
Sul suo blog ti sei definito un anarchico col trattino in mezzo, forse. Cosa intende dire con questa espressione?
Scrissi un articolo nei giorni della rivendicazione da parte del fronte anarchico informale della gambizzazione del manager dell’Ansaldo Roberto Adinolfi. Non sembrava scritta da un anarchico ma da un brigatista. Come l’idea, ad esempio, di essere un’avanguardia che vive un bisogno di ritorno  ad una lotta violenta, parlare dello Stato come detentore egemonico della violenza. Un anarchico non si considera avanguardia di qualcun altro e non spara, o quanto meno è un’idea molto vecchia di anarchia. Nella rivendicazione, parlando di anarchia non violenta la definivano anarch-ia. Non ho capito bene che cosa intendessero dire…E quindi ho pensato dal mio punto di vista che anche io sono un anarchico col trattino.




Ascanio Celestini



Hai definito in diverse occasioni il carcere come un’ istituzione criminale, frutto di una visione vecchia e paternalista della giustizia Eppure dai regimi più democratici a quelli più autoritari è sempre esistito.
Il carcere è un’invenzione della cultura borghese, dell’illuminismo. Fino ad allora  era stato un momento di passaggio dove le persone venivano torturate o rinchiuse per il breve tempo del processo. Poi se avevi rubato ti tagliavano la mano, se avevi bestemmiato ti tagliavano la lingua ecc. I re, i tiranni non avrebbero mai tenuto in galera qualcuno per 20 anni perché prendere il colpevole e nasconderlo in carcere significava anche occultare il loro potere sui sudditi. Esso, invece, doveva essere visibile sul corpo. Con la cultura borghese che ha diffuso l’idea di una uguaglianza di tutti gli uomini (almeno apparente), sia quelli che comandano sia quelli che sono comandati, vi è stata la necessità di un giudice terzo, di una legge che decideva che fine doveva fare il colpevole. Lì il corpo più che essere mostrato doveva essere nascosto. Con l’ergastolo i cittadini vedono il muro e quindi il potere della legge. Un’idea che fa il paio con quella di Panopticon dove tutti sono osservabili da un’unica persona. Il carcere non funziona. La metà dei detenuti sconta la pena senza aver ricevuto la condanna in via definitiva: già questo lo trasforma in un lager. Istituti penitenziari che non siano in sovrannumero praticamente non esistono in Italia. Io Stato faccio la stessa cosa che facevano i tiranni: hai rubato ed io ti taglio la mano. A che serve che ti tenga il galera per 1,10,30 anni, tutta la vita?
Qual è l’alternativa?
Bisogna mettere i colpevoli nelle condizioni di fare qualcosa di utile per la società. L’idea di rieducare l’individuo è paternalistica. Gherardo Colombo, ad esempio, sostiene addirittura che il detenuto deve fare qualcosa per la famiglia della vittima. Non è percorribile al 100% ma è una strada che bisogna imboccare perché così com’è il carcere non solo non serve a niente ma è dannoso.

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