domenica 8 novembre 2015

VITTORIO ARRIGONI RACCONTATO ATTRAVERSO IL FUMETTO DI STEFANO PICCOLI.

IL 30 NOVEMBRE A BRINDISI UNA BELLISSIMA INIZIATIVA,PRESENTIAMO UN LIBRO DI FUMETTI CHE PARLA DI VITTORIO ARRIGONI,SARA' PRESENTE L'AUTORE DEL LIBRO.
Un occasione per ricordare Vittorio che tanti amici si era fatto nella breve permanenza nella nostra citta', dove ha lasciato un ricordo indelebile tra tutti coloro che lo hanno conosciuto.
L'iniziativa si terra' allo Spazio Sociale Kamo PugliaPalestina a Brindisi via Porta Lecce 134 ore 20,30
“Guerrilla Radio”, un fumetto per restare umani
Pubblicato
15.10.2015, 17:53
È stato uno degli appun­ta­menti più inte­res­santi di «Le strade del pae­sag­gio», Festi­val del fumetto in pro­gramma fra il 9 e il 25 otto­bre a Cosenza quello con il car­too­nist capi­to­lino Ste­fano Pic­coli. Il suo ritorno sulla scena è il romanzo gra­fic Guer­rilla Radio — Vit­to­rio Arri­goni, la pos­si­bile uto­pia, romanzo gra­fico tar­gato Round Robin Edi­tore incen­trato sulla figura dell’attivista e repor­ter indi­pen­dente ucciso a Gaza nel 2011. Lo sce­neg­gia­tore e dise­gna­tore di Roma rac­conta la genesi di que­sto nuovo pro­getto all’insegna del “comic jour­na­lism” nato con la col­la­bo­ra­zione della fami­glia di Vik.
Pur essendo fra i più poli­ti­ciz­zati fumet­ti­sti “indi­pen­denti” ita­liani, nel corso del tempo ti sei spo­stato dalla satira tout-court de «Il Mas­sa­cra­tore» alla docu-fiction del tuo nuovo lavoro su Vit­to­rio Arri­goni. un’evoluzione natu­rale o una scelta?
Credo si tratti di un insieme di entrambi i fat­tori. Da una parte, la cre­scita quasi fisio­lo­gica di un autore e il cam­bia­mento che tale cre­scita implica, riflet­tendo nell’opera di quell’autore ogni nuova con­ta­mi­na­zione, espe­rienza, incon­tro o cono­scenza della pro­pria vita pri­vata. Dall’altra, la scelta in quanto presa di coscienza, lucida com­pren­sione dei pro­pri obiet­tivi, anche in ter­mini nar­ra­tivi. Sapere cioè con chia­rezza cosa si vuol rac­con­tare. Sapere quando e come farlo!
Guar­dando la tua biblio­gra­fia, l’impressione è che tu ti sia deci­sa­mente distac­cato dal mondo del fumetto per un bel pezzo. Mi pia­ce­rebbe appro­fon­dire un po’ il senso di que­sto lungo sabbatico.
Tra la fine della mia espe­rienza con il col­let­tivo Fac­tory nel 1998 e «Il ritorno del Mas­sa­cra­tore» sono pas­sati otto anni in cui non ho pro­dotto alcun fumetto. Sarebbe un arco di tempo impres­sio­nante, per chi fa fumetti di mestiere. Io però non ho mai fatto fumetti per mestiere e sem­pli­ce­mente ho fatto altro, come l’art direc­tor per brand di moda e abbi­glia­mento o il gior­na­li­sta musi­cale, altra grande pas­sione di sem­pre tra­sfor­mata in pro­fes­sione. In realtà, al di là dell’aspetto pura­mente eco­no­mico, si è trat­tato di una serie di oppor­tu­nità che si sono ina­nel­late una dopo l’altra, dalla fon­da­zione di «BIZ Hip Hop Maga­zine» insieme ad Ice One per Magic Press, alla dire­zione edi­to­riale per le testate musi­cali del net­work Nexta Media, fino alle col­la­bo­ra­zioni con­ti­nua­tive con «Rumore», «Rock­star» o «Vanity Fair». Un vero e pro­prio “lavoro a tempo pieno” che mi ha tenuto lon­tano dalla nona arte, anche con la testa, fin quando la mia natura irre­quieta non mi ha impo­sto di rico­min­ciare a dise­gnare, come per un biso­gno fisico di raccontare.
Stefano Piccoli in un ritratto recente
Ste­fano Pic­coli in un ritratto recente
Nel tuo cur­ri­cu­lum c’è anche una col­la­bo­ra­zione con Emergency…
Sostengo spesso che in que­sto mondo tutti noi siamo come dei cavetti di input e out­put col­le­gati alla Terra e che quindi per tanto che rice­viamo (in benes­sere, affetti, gra­ti­fi­ca­zioni e buona sorte), tanto dovremmo ridare indie­tro. Il mio per­so­nale retag­gio poli­tico, sociale e umano (in qual­che modo anche con­ta­mi­nato da alcuni valori uni­ver­sali di matrice cri­stiana) mi ha sem­pre spinto verso il pros­simo, come con­cetto asso­luto. Non par­liamo sem­pli­ce­mente della reto­rica sul povero, il malato, l’emarginato, l’oppresso o il pre­va­ri­cato, ma pro­prio di diritti umani di base. In Emer­gency ho tro­vato que­sta piena espres­sione della cul­tura di pace e del diritto umano, della sua dignità, dove — per esem­pio — le cure medi­che di qua­lità nelle zone di guerra devono essere un diritto che supera le fazioni coin­volte. Non essendo un medico o un infer­miere che può real­mente par­tire per le strut­ture in cui opera nel mondo, fare volon­ta­riato con Emer­gency dall’Italia signi­fica impe­gnarsi nella divul­ga­zione di que­sti prin­cipi (anche nelle scuole), nei ban­chetti infor­ma­tivi, nelle cam­pa­gne di tes­se­ra­mento, nelle rac­colte fondi e — attra­verso i gruppi ter­ri­to­riali — nell’ideazione, lo svi­luppo e la pro­mo­zione di ini­zia­tive, mani­fe­sta­zioni, spet­ta­coli, col­la­bo­ra­zioni e via dicendo. Pro­prio lo scorso mag­gio, per dire, nell’inventarmi un pro­getto con l’ARF Festi­val che legasse i fumetti alla soli­da­rietà, ho coor­di­nato un’iniziativa nazio­nale che ha coin­volto Gipi, Zero­cal­care, Gia­como Bevi­lac­qua e Sio in una “edi­zione limi­tata 2015″ di T-Shirt (tut­tora in ven­dita nello shop on line di Emer­gency) che ha avuto gran­dis­simo suc­cesso, con­cor­rendo alla rac­colta fondi per il Pro­gramma Ita­lia della onlus.
Da autore “in presa diretta” che finora ha rac­con­tato solo realtà viste da vicino, con “Guer­rilla Radio” hai azzar­dato un salto in con­te­sti umani, geo­gra­fici e cul­tu­rali molto distanti. Anche avendo a dispo­si­zione tutti i mate­riali rea­liz­zati da Arri­goni, è facile imma­gi­nare la dif­fi­coltà di “entrare nel personaggio”.
Il lavoro di docu­men­ta­zione prima di comin­ciare a scri­vere e dise­gnare «Guer­rilla Radio» è stato lun­ghis­simo. Ho speso più di un anno solo per “entrare” nella vita di Vit­to­rio, per capire quali fos­sero dav­vero le cose da rac­con­tare (anche in epi­sodi appa­ren­te­mente minori) e quali invece fos­sero quelle super­flue. Poi mi sono “alle­nato” a dise­gnare ambien­ta­zioni che resti­tuis­sero vero­si­mi­glianza alla Pale­stina. Ma a ral­len­tarmi, in realtà, non sono state né la docu­men­ta­zione, né tan­to­meno sce­neg­gia­tura o dise­gno, quanto il mio timore nella scelta di rac­con­tare que­sta sto­ria. Il timore del giu­di­zio e della rea­zione che puoi avere nel momento in cui stai rivi­vendo una sto­ria vera, non un’opera di fin­zione. E non parlo del giu­di­zio del let­tore gene­rico, che può apprez­zare o meno, ma di quello dei fami­liari di Vit­to­rio, dei suoi amici, di tutti coloro che lo cono­sce­vano e gli vole­vano bene, magari per aver con­di­viso il pro­prio per­corso con lui.
Sem­pre per restare in argo­mento: impos­si­bile par­lare di Pale­stina a fumetti senza citare Joe Sacco o «Val­zer con Bashir» di Fol­man; fanno parte del tuo baga­glio o hai pre­fe­rito evi­tare influenze altrui?
Ne hanno fatto parte quasi per forza sem­pli­ce­mente per­ché — una volta lette o viste — certe opere ti riman­gono den­tro per sem­pre! Non puoi far finta di averle dimen­ti­cate dal momento stesso in cui ti rendi conto che stai uti­liz­zando lo stesso stru­mento, lo stesso lin­guag­gio. Poi, ovvia­mente, ogni autore ha una pro­pria sto­ria con i pro­pri spe­ci­fici rife­ri­menti poli­tici o cul­tu­rali. E una pro­pria cifra sti­li­stica. Senza con­si­de­rare che gli autori che hai citato sono dei Mae­stri del cosid­detto “gra­phic jour­na­lism”, quindi mi imba­raz­ze­rebbe fare para­goni con tutti loro.
Come mai la scelta di una “rac­colta di rac­conti”? È solo figlia della volontà di acco­stare i con­tri­buti degli altri autori che hanno par­te­ci­pato all’avventura agli otto epi­sodi del libro?
La sud­di­vi­sione in otto capi­toli l’ho fatta esclu­si­va­mente come scelta nar­ra­tiva. Non volevo rea­liz­zare la bio­gra­fia uffi­ciale di Vit­to­rio Arri­goni, che forse in futuro farà qual­cun altro. Mi sono foca­liz­zato su otto deter­mi­nati momenti del suo per­corso (non solo a Gaza) che potes­sero rac­con­tarlo sotto diversi punti di vista, sia per il suo ope­rato che per il suo carat­tere. Come fos­sero pezzi di puzzle più grande, che caso­mai toc­cherà alla bontà del let­tore rico­struire. I con­tri­buti esterni sono rac­colti dopo la sto­ria a fumetti, nella seconda parte del volume. Non la infra­mez­zano, ma appro­fon­di­scono le sfac­cet­ta­ture di Vit­to­rio, rac­con­tando le pro­prie espe­rienze di repor­ter e cooperanti.
Mi pare di capire che la fami­glia di Vit­to­rio Arri­goni ti abbia sup­por­tato molto nella rea­liz­za­zione del volume. Rac­con­taci com’è andata.
Molto sem­pli­ce­mente, prima ancora di comin­ciare a dise­gnare ho con­tat­tato sua mamma Egi­dia Beretta (che su suo figlio ha già scritto «Il viag­gio di Vit­to­rio» — Bal­dini & Castoldi, 2013) e sua sorella Ales­san­dra, per­ché senza il loro pla­cet non ci avrei nean­che pro­vato, mi sarebbe sem­brato una sorta di libro apo­crifo. Entrambe non cono­sce­vano per niente il mondo del fumetto, le rela­tive dina­mi­che edi­to­riali, i suoi tempi pro­dut­tivi. Ma una volta entrate den­tro al mec­ca­ni­smo, mi hanno appog­giato al 100%! Con Ales­san­dra mi ci sono incon­trato di per­sona, illu­stran­dole per bene tutto il pro­getto. Con la signora Egi­dia ho invece instau­rato un fitto rap­porto epi­sto­lare (e tele­fo­nico) attra­verso il quale ha potuto super­vi­sio­nare l’intero libro tavola per tavola, ogni capi­tolo, ogni dia­logo. Inter­ve­nendo su alcune cor­re­zioni dei testi, se neces­sa­rio. E mi ha scritto l’introduzione.
"Guerrilla Radio": la copertina - © Round Robin 2015
“Guer­rilla Radio”: la coper­tina — © Round Robin 2015
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Pino Marella
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